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4. L’atomo: storia moderna /2

Per spiegare i risultati dell’esperimento, Rutherford ideò un nuovo modello dell’atomo, nel quale la carica elettrica positiva si trova concentrata in un massiccio nocciolo centrale (il nucleo) mentre gli elettroni di carica negativa sono situati tutto intorno secondo il familiare modello planetario. Questo modello, al contrario di quello di Thomson, spiega l’osservazione di particelle respinte verso la zona dalla quale provenivano: questo avviene quando la particella urta più o meno centralmente il nucleo. 

Il modello planetario dell’atomo è stato introdotto per spiegare i risultati dell’esperimento di Rutherford, funzionando egregiamente a tale scopo. Tuttavia, il Metodo scientifico impone di sottoporre continuamente alla prova i modelli, prevedendo fenomeni sulla base di essi e confrontando le previsioni con i risultati degli esperimenti. E ben presto ci si rese conto che il modello atomico di Rutherford faceva clamorosamente cilecca su almeno due fronti nel confronto previsione-risultati. 


Da un lato, era noto da tempo che ciascun elemento opportunamente stimolato emette onde elettromagnetiche (si dice che ‘irradia’) di certe ben definite lunghezze d’onda, e non di altre; tanto che l’insieme delle lunghezze d’onda della radiazione emessa da un certo elemento costituisce una vera e propria “impronta digitale” dell’elemento stesso (con terminologia corretta diremo che ogni elemento ha il suo caratteristico “spettro di emissione” che lo identifica in maniera pressoché univoca).

Dall’altro, la teoria elettromagnetica, formulata un cinquantennio prima da Maxwell, prevedeva che una carica elettrica in moto circolare, essendo accelerata (accelerazione centripeta), dovesse irraggiare onde elettromagnetiche, perdendo così energia. Alla luce di ciò, gli elettroni (negativi) orbitanti attorno al nucleo (positivo) avrebbero dovuto rapidamente cadere spiraleggiando verso il nucleo, ponendo fine all’esistenza dell’atomo come tale. L’evidente stabilità della materia che ci circonda smentisce perciò il modello planetario dell’atomo. 


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