Il termine biotecnologie è stato coniato dall’ingegnere agricolo Karoly Ereky nel 1919. Egli utilizzò questo termine per intendere qualsiasi processo che porta la produzione di beni da materiali grezzi attraverso l’uso di organismi viventi. In questa definizione molto ampia rientrano processi millenari come la fermentazione degli zuccheri per produrre alcol, pane e latticini. Molti di questi processi sono in larga parte stati industrializzati eppure l’utilizzo di batteri e lieviti è ancora fondamentale per produrre non solo alimenti ma anche altre biomolecole, come, ad esempio, quelle usate per la produzione di bioplastiche.
Questo settore ha poi avuto una profonda accelerazione nella seconda metà del ‘900 grazie alle scoperte provenienti dal mondo della biologia molecolare e della genetica. Nel 1953 Watson e Crick descrivono la struttura a doppia elica del DNA, la macromolecola che già si sapeva in grado di portare l’informazione genetica all’interno delle cellule.
Nei decenni successivi altri eventi permisero di iniziare a modificare il DNA dei batteri e poi anche di piante e animali. La scoperta degli enzimi di restrizione e della ligasi rese possibile tagliare, inserire e ri-collegare tra loro pezzi di DNA in modo specifico e preciso.
L’invenzione della PCR, cioè la reazione a catena della polimerasi, permise di sintetizzare in vitro per via biochimica grandi quantità di DNA (amplificare), ed eventualmente anche di modificarne la sequenza, rendendo i processi di ingegneria genetica alla portata della maggior parte dei laboratori di ricerca sia di base che applicata.